L’amore che ci attraversa è il primo libro di Daniele Palombella.

Tre e quattordici. Vorrei essere nel tuo cerchio, calcolare insieme quanto misura la circonferenza del tuo girocuore, come equilibrista a piedi nudi percorrerei quel filo invisibile, attraverserei la geometria dei sentimenti, addomesticherei le formule della mente e scopriremmo insieme, in una precisa equidistanza, guardando le nostre mani reciprocamente, che all’amicizia manca esattamente il diametro delle mie braccia moltiplicato la lunghezza delle tue. (Daniele Palombella)

Daniele Palombella, barese all’anagrafe dal 1972, made in Italy, è sposato con Maddalena e ha due figli.

Daniele annusa la vita, annota le esperienze su un taccuino che porta sempre con sé dall’età di 16 anni, con almeno cinque plettri nel taschino dei jeans. Da allora si stupisce, come la prima volta, quando la penna tinge di blu gli spazi destinati ai cuori che vi leggeranno il Cielo, fervente di speranza che si libreranno presto sulle ali dello Spirito.

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BRANO TRATTO DAL LIBRO

Siblings

Voglio sedermi con te come attorno a un fuoco, all’imbrunire, attirati entrambi, per leggere te scrivendoti in queste pagine. Vorrei imparare a modulare il mio tono di voce, partendo dal minimo udibile, in un crescendo fino a sfiorare l’altezza del volume dei tuoi pensieri, senza oltrepassare la tua libertà di volermi vicino a te, per non interferire con gli armonici dell’animo. Fermarmi sul davanzale della tua coscienza, farti entrare nella mia per invitarti a fluttuare nella tua.

 

A Dio piacciono fedeltà e dolcezza. Siracide 1: 27b

 

Scrivere è stare in tua prossimità, è come ascoltarti. È permettere a entrambi di scrutarci, condividere con assenzi, silenzi, aggirarci tra i depositi dove spolverare la bellezza che è in noi.

La coscienza è un abisso nel quale si immagazzina la felicità, si addensa il dolore, scivolano lentamente le esperienze in depositi ben custoditi, si perfezionano le contromisure ai moralismi, agli ismi, è il luogo dove la bontà si rivela per suggerirti i movimenti che precedono ogni azione.

Nessuna distanza sociale di un metro potrà mai impedire ai nostri sguardi di toccarci. Ogni centimetro in noi comunica. Se non ne abbiamo voglia, comunichiamo ugualmente. In un modo o nell’altro ci scambiamo parole non dette, decodifichiamo, distorciamo, assimiliamo; pulsa questa innata e incontenibile inclinazione a comunicare e ad ascoltare.

Non c’è un colore dominante quando i miei occhi si connettono ai tuoi. Gradualmente il luccichio assume la stessa tonalità e comunicare e ascoltare altera la sua forma iniziale: da dialogo diventa comunione d’anima.

Avverti il dolore che, per quanto tu possa cercare di accostare la campionatura dei colori, non riuscirai a trovare lo spettro cromatico identico ai miei occhi. È come un dogma imposto: l’imprinting[1] o avviene o non avviene. A prima vista oppure niente.

Davvero? Davvero devo credere che siamo come i pesci e gli uccelli?

 

Quando ti incontro vorrei fosse

ogni volta

un bagno di unità

Sai cosa mi fa soffrire di più? Siamo come acqua e olio, spesso. Stiamo insieme, ci risolviamo in emulsione, finché mescolandoci non si distinguono più i due elementi, acqua e olio. A furia di impastare le nostre esperienze assumiamo un aspetto tutto nuovo, non del tutto perfetto, ma nobile e luminoso.

Cosa manca quindi? Con il tempo l’olio si separa, galleggia in superficie. Occorre centrifugarci ancora.

Ero a un pub qualche tempo fa.

Di fianco al nostro tavolo un gruppo di ragazzi scalmanati gesticolavano scoppiettando fragorosi segni a me non immediatamente comprensibili con l’intelletto. L’amicizia ornava i volti sorridenti dei sordomuti e le parole eloquenti si spandevano tra i boccali di birra. Con il mento sul palmo della mano su di un gomito appoggiato nella fenditura più accomodante delle traversine di legno, mi soffermai a lungo su ogni viso. Mi restituirono sorrisi non di circostanza quando si accorsero che li fissavo con ammirazione, fugando i dubbi di essere stato indiscreto.

Lo sai, vero? Che attraverso la campitura dei tuoi occhi vedo Dio?

La Parola ha questo perseverante e incontenibile respiro in sé: la inspiri, la trattieni e ti assimila a sé, la emetti con le tonalità delle corde vocali che ti vibrano in seno e se accorci le distanze tra te e me, quelle faranno eco nel mio, moltiplicheranno spostamenti di aria intorno a noi, rimbomberanno come in una grande stanza senza ostacoli, senza patine di incomprensioni, raggiunta da una luce in ogni angolo buio, larga e vuota di musi lunghi. Quelle frequenze valicheranno le congiunture tra il cuore e la mente, senza verificare se le accetteremo credibili. Ci ricomporrà amici.

 

Posso diventare

ciò che comunico

a furia di ascoltare e comunicare?

 

La Sua voce si posa sui rumori quotidiani, non ti assale nel cuore della notte, ti istruisce nel sonno, attende che il tuo respiro si faccia meno profondo, che i tuoi movimenti si facciano più frequenti, non ti frastorna di soprassalto, attende fiducioso il tuo risveglio e ti sussurra una morbida carezza sugli occhi come la più tenere delle mamme.

Non la senti? Non senti vibrarla nell’aria come suono che si espande, che ti sfiora la pelle, si imprime all’interno come l’amicizia? Ti abbandoni felice nelle sue braccia!

Ora, proprio ora, vorrei essere lì con te a scambiarci il suono dei nostri nomi, distinguere come tintinnano le consonanti del tuo nome e del mio nome, spalancare le vocali all’unisono, realizzare in fondo che ci chiamiamo allo stesso modo: siblings, sorella e fratello.

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[1] Imprinting è quella fase della vita, solitamente subito dopo la nascita, in cui si fissa in modo irreversibile nella memoria l’immagine di una persona stabilendo con lei un legame indelebile. Nella biologia comportamentale, gli zoologi ne hanno pubblicato approfonditi studi.